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Come si fa

di Simonetta Pugnaghi 30 Agosto 2013

Alcuni giorni fa sono salita su una palestra di roccia, niente di che, ma dopo aver frequentato un corso la primavera scorsa è stata una bella soddisfazione potermi cimentare. E per deformazione professionale, mi sono venuti in mente un paio di collegamenti rispetto all’apprendere, e al “come si fa”.

Salire in una parete verticale non è ovviamente facilissimo, per quanto lo si faccia in perfetta sicurezza. Se non ti piace, o se ci sono controindicazioni fisiche, ad esempio le vertigini, diventa impossibile o improbabile riuscirci. Se ti piace, se ti appassiona, puoi farcela anche solo col cuore. Però, farai una bella fatica. Se frequenti un corso, se accetti gli addestramenti di chi di mestiere insegna, allora puoi imparare come fare prima e meglio, puoi imparare come si fa. Che non si sostituisce alla voglia né elimina la difficoltà, il come si fa si aggiunge alla passione e alla dotazione – condizione fisica (e la mia è modesta, per la verità, un po’ di tecnica può in parte compensare una dotazione non eccezionale). Nel caso dell’arrampicata, le tecniche riguardano questioni come l’utilizzo delle gambe e solo occasionalmente delle braccia che si stancano prima, certe rotazioni del corpo in base alla situazione e agli appigli disponibili, l’avvicinarsi e l’allontanarsi dalla parete con il bacino a seconda dell’esigenza, eccetera. E poi, per arrampicare serve imparare a mantenere lucidità, tirare fuori un po’ di coraggio e staccare un piede o lanciare una mano quando è ora, insomma alcune competenze emotive. In tutti i mestieri, o in tutte le attività c’è una attitudine e c’è un come si fa (che comunque evolve nel tempo). Nel mio mestiere, ad esempio come si fa a impostare un ruolo organizzativo, come si fa un colloquio di motivazione, come si utilizza l’ascolto in modo da fare “leva”, eccetera eccetera. E nel mio lavoro come in tanti altri, si può anche fare senza del come si fa. Molti fanno i consulenti, o i capi, senza conoscere le tecniche. Ma così si fa più fatica e si producono in genere meno risultati.

Imparare a fare qualcosa di nuovo, da adulti è meno frequente che a vent’anni. Non perché sappiamo fare tutto, ma perché in genere abbiamo ristretto le attività che compiamo e ci facciamo bastare le competenze che abbiamo. E così a volte finiamo per pensare che possiamo fare a meno di competenze e addestramento anche dove ci servirebbero. E poi, non siamo un popolo di allenatori della nazionale, primi ministri, sociologi eccetera? A parole, ce la possiamo anche cavare. Solo che lì, attaccati a quella parete, le parole non servono granchè.

Imparare da adulti qualcosa di nuovo vuol dire accettare alcune cose che da grandi ci capitano di rado. In primis, accettare di non poterci basare sull’esperienza, che nel nuovo non abbiamo. Io vado in montagna da una vita e ho fatto varie ferrate (sentieri attrezzati, per chi non è “del settore”), però la tecnica dell’arrampicata è diversa, non posso travasare quello che so semplicemente per contiguità, ho da imparare. Anzi, alcune cose le ho dovuto “disimparare”, cioè non applicare qui.

E imparare da adulti vuol dire accettare che un altro ne sa più di me, non posso pensare con la mia testa e decidere autonomamente, o meglio, posso, ma poi non imparo. Quindi ho da ascoltare, e magari adottare un suggerimento che a me non sembra azzeccato. Imparare da adulti significa mettersi in discussione, non è una gran scoperta, solo che da dire è facile, da fare meno. Facendo la docente da molto tempo, posso dire di incontrare spesso persone che ne hanno voglia solo a parole, di mettersi in discussione, soprattutto “ai piani alti” della gerarchia organizzativa. Che è una generalizzazione, ma insomma, mi pare abbastanza fondata. Soprattutto quelli che dicono agli altri dovete imparare, poi non lo fanno. Cosa c’è di male, ad ammettere, non so farlo? A chiedere, mi insegni? A dire, ho sbagliato, ancora non ho capito, ancora non lo padroneggio? Niente, ma … da adulti non è così facile. E in certi ruoli, poi. Forse sarebbe ora di identificare la leadership – il leader meno con la persona sempre più avanti e capace in tutto e di più con quella che sa dare l’esempio, anche nel mettersi in discussione e nell’apprendere ancora.

Certo, è meglio se ti piace e se ne hai voglia, ma imparare qualcosa di nuovo da grandi, che soddisfazione! E anche insegnare è di gran soddisfazione, quando l’allievo impara. Ma da insegnante, imparare mi piace moltissimo.

PS. Quando salivo la parete, sotto c’era un “folto pubblico”, di genitori e bambini che attendevano il loro turno. Tutti gli adulti, compatti, hanno evitato accuratamente di salire dicendo che non era cosa adatta a loro, e hanno bombardato i bambini che provavano, figli loro o di altri indifferentemente, di esortazioni, consigli, suggerimenti, istruzioni, fai così, alza il piede, non mollare, più a sinistra, ecco, lì, no, là, attento! eccetera. Penso che al di là della positiva partecipazione, avrebbero fatto meglio a lasciare all’istruttore, montanaro di poche parole, il compito di instradare, e ai bambini il gusto di scoprire come si fa. Comunque, alla discesa hanno premiato con fragorosi applausi tutti gli arrampicatori, di ogni età.

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Lavoro da venticinque anni nel settore organizzazione e risorse umane, sono consulente, formatore e counselor. Il mio interesse per le persone viene da più lontano, è maturato nella adolescenza e nel periodo universitario, prima facendo parte degli scout e poi come capo scout.

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